Allo scadere dell’anno è arrivata l’approvazione della legge di Bilancio 2024, la seconda manovra economica del Governo guidato da Giorgia Meloni. Una manovra che, varata a metà ottobre, non avrebbe dovuto subire alcun emendamento da parte della maggioranza (del resto ormai da anni il Parlamento ha un ruolo marginale, si limita a confermare e ratificare l’operato dell’esecutivo; alla faccia della separazione dei poteri, pilastro della nostra Costituzione) e che invece si è trascinata stancamente per oltre due mesi ottenendo l’approvazione della Camera dei Deputati a due giorni dal temuto esercizio provvisorio, con 200 voti favorevoli, 112 contrari e 3 astenuti.

            La legge di bilancio 2024 vale 28 miliardi, compresi i 4 miliardi della nuova irpef e, oltre la metà, cioè 16 miliardi, sono in extradeficit, che per un Paese con un debito pubblico che ammonta a oltre 2.800 miliardi di euro è poco più di una goccia nel mare, ma se pensiamo al livello crescente dei tassi d’interesse c’è poco da star tranquilli.

            Il Ministro dell’Economia e delle Finanza Giancarlo Giorgetti ha mostrato soddisfazione sul sito del MEF per questa manovra economica che è, a suo dire, sulla linea di un percorso di prudenza, responsabilità e fiducia ove i principali interventi previsti nell’ambito della manovra sono diretti in gran parte al sostegno dei redditi medio-bassi dei lavoratori dipendenti, interventi in favore delle famiglie numerose e alla natalità, al rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici, al rifinanziamento della spesa sanitaria e al potenziamento degli investimenti pubblici e privati.

Operando una lettura e un’analisi critica un po’ più approfondita si vedono poche novità di peso, dalle pensioni di medici e statali alla rimodulazione dei fondi per il Ponte sullo Stretto, arrivate nel passaggio parlamentare, in un iter non semplice che ha portato comunque all’approvazione finale a ridosso di Capodanno. Le solite regalie e mancette urbi et orbi, anche se più contenute rispetto al passato, hanno comunque trovato posto. Non mancano una serie di nuove tasse, dall’ormai classico e rodato aumento delle sigarette fino alla tassa di soggiorno per il Giubileo. Per non parlare dei soliti pedaggi autostradali che colpiscono le tasche dei cittadini a pioggia (per esempio chi scrive ha pagato sulla Roma Civitavecchia 2,40 euro il 30 dicembre e 2,50 euro il 2 gennaio).

Per quanto riguarda gli stipendi dei lavoratori dipendenti, nel 2024 resterà in vigore il taglio del cuneo fiscale. Si tratta di una riduzione dei contributi da versare in busta paga, pari a 6% fino a 35mila euro di reddito e a 7% fino a 25mila euro di reddito. Nella pratica, questo significherà che da gennaio 2024 non ci sarà nessuna differenza visibile nello stipendio del singolo lavoratore, perché è stato confermato un taglio che era già in vigore. Se invece il governo Meloni non avesse rinnovato tale taglio del cuneo – che costerà circa 10 miliardi di euro per tutto il 2024 – le buste paga avrebbero visto un calo in media di quasi 100 euro. Bisogna ricordare che questo taglio non vale per le tredicesime e vale solo per 2024, quindi possiamo annotare che serviranno almeno altri 10 miliardi per il 2025.

Per rafforzare l’effetto di questa misura ecco la nuova Irpef, le aliquote passano da quattro a tre: fino a 28mila euro si paga il 23%, da 28mila a 50mila euro si paga il 35%, e sopra i 50mila euro di reddito si paga il 43% di Irpef. Prima si pagava il 23% solo fino a 15mila euro, e poi scattava il gradino successivo al 25% fino ai 28mila euro di reddito. Quindi non cambia nulla per chi ha un reddito fino a 15mila euro. Da quella fascia in su comincia uno sconto, che è tanto maggiore quanto più alto è il reddito. Il massimo si raggiunge a 28mila euro. Si tratta di 260 euro all’anno risparmiati sull’Irpef. Questa somma resta uguale anche per chi ha un reddito superiore, fino a 50mila euro, perché sopra questa soglia il governo ha deciso che scatterà un taglio di 260 euro alle detrazioni fiscali apposta per annullare e sterilizzare il risparmio ottenuto dalla riforma fiscale. In sostanza il guadagno è per la classe borghese, quella media che viaggia sui 30.000 euro di reddito e nullo per i poveri veri, quelli che arrivano a malapena ai 15.000 euro.

Con la legge di bilancio tra le tasse che cambiano l’IVA raddoppia e sale al 10% su pannolini, prodotti per l’infanzia e assorbenti (non esattamente aiuti alla natalità e alle famiglie numerose). La cedolare secca per gli immobili in affitto breve aumenta dal 21% al 26%, ma solo per chi affitta più di una casa e solo dal secondo immobile in poi, infatti per la prima resta il 21%, altro che aiuto ai poveri e lotta al disagio abitativo con soli 100 milioni di euro stanziati per l’edilizia residenziale pubblica.

Per quanto concerne le pensioni resta in vigore quota 103, 61 di età e 41 di contributi, ma con penalizzazioni sia sul calcolo dell’assegno, che sarà con metodo contributivo, che sull’importo stesso con un tetto massimo mensile di 2.250 euro. Sono confermati, ma peggiorati rispetto allo scorso anno sia l’APE Sociale, cioè l’anticipo pensionistico, che l’opzione donna. Curioso ripensare ai tempi in cui Salvini, attuale Ministro delle Infrastrutture, faceva le sue fortune elettorali con la battaglia contro la riforma pensionistica Fornero e la relativa quota 100, ora non dice nulla? va tutto bene?

Quel che appare evidente è che questa manovra del Governo Meloni pare sulla stessa linea di chi l’ha preceduta. Draghi avrebbe fatto più o meno le stesse cose, insomma un’impostazione all’insegna dell’austerità. Ma ora alla guida del governo c’è chi all’epoca contestava aspramente i tecnici al governo e i tecnocrati di Bruxelles. Tutto molto bizzarro, per non parlare del criticato e discusso Patto di Stabilità dei conti pubblici appena firmato e in vigore dal prossimo anno, ma questa come la finta battaglia del Meccanismo Europeo di Stabilità è un’altra storia.

© 2024 Pierstefano  Durantini