La Guerra in Europa e sui Mezzi d’Informazione

 

L’improvviso irrompere della guerra in Europa lo scorso 24 febbraio, quando le truppe dell’esercito russo hanno invaso l’Ucraina, ci ha fatto tornare indietro di 80 anni. L’incubo del fondato rischio di un conflitto mondiale, che rischia di allargarsi dapprima al resto d’Europa, poi a Ovest col coinvolgimento degli Stati Uniti e i suoi alleati aderenti alla NATO e infine a Est fino all’interessamento della Cina, ha preso il sopravvento in ognuno di noi, offuscando quell’emergenza internazionale che è stata, ed è tuttora, la pandemia che purtroppo non è affatto archiviata, né risolta.

La tragica decisione del leader russo Putin, di iniziare una guerra di aggressione nei confronti di uno Stato sovrano qual è la confinante Ucraina, ha innescato tutti quei meccanismi collegati alla guerra: conta dei morti e dei feriti, profughi, distruzione di obiettivi militari e civili, danni collaterali, armi convenzionali e nucleari, propaganda, sanzioni economiche, richiesta di cessate il fuoco, corridoi umanitari, dibattito tra interventisti e non, pacifisti, iniziative diplomatiche e via dicendo.

Nel nostro Paese l’opinione pubblica, e non solo, si è accorta, con otto anni di colpevole ritardo, che questo conflitto era iniziato nel 2014 con l’annessione alla Federazione Russa delle Repubblica di Crimea e la nascita delle autoproclamate repubbliche popolari di Doneck e Lugansk situate nella parte est dell’Ucraina ai confini con la Russia.

È questa probabilmente la prima grande guerra, forse perché a noi così vicina non solo fisicamente, ma anche per tante altre ragioni legate alla cultura europea e all’immigrazione di tanti cittadini ucraini che lavorano in Italia, che stiamo osservando praticamente in diretta, non solo grazie all’opera meritoria dei molteplici giornalisti presenti sul campo, ma anche grazie all’incessante ruolo dei tanti social network. Infatti basta accendere la televisione per imbattersi non solo in dirette dal fronte dei tanti inviati, siano essi delle tv, delle radio o dei giornali, ma pure in molteplici immagini di telefonini e altri analoghi dispositivi di comunicazione on line. Molte sono infatti le riprese video realizzate con i telefoni, tenendoli peraltro spesso erroneamente in verticale invece che in orizzontale, che ci immergono dentro il conflitto con tutto il suo tragico corollario di vittime e distruzione.

Alcune immagini sono iconiche e tali rimarranno nell’immaginario collettivo.

Cominciamo dai due leader: Zelensky e Putin hanno lo stesso nome, ma sono totalmente diversi.

Il primo, anche grazie al suo passato di attore, usa i mezzi d’informazione con maestria, infatti da quando è iniziata l’invasione russa si fa riprendere in maglietta verde militare con le insegne delle esercito ucraino, pure quando parla con altri capi di stato. L’inquadratura è essenziale e stretta su di lui, che ha sempre la bandiera bicolore gialla e azzurra alle spalle. Questa scelta di campo ben studiata fornisce a coloro che osservano una straniante e claustrofobica sensazione di assedio volta a simboleggiare le sofferenze della sua nazione, anche quando si fa ritrarre all’aperto nei quartieri deserti della capitale.

Il leader russo, invece, si fa vedere molto meno in tv, quasi per dimostrare una sua presunta superiorità e un distacco dagli eventi bellici. Quando compare in riprese di telegiornali o altre trasmissioni di solito non è mai solo e indossa sempre un impeccabile vestito elegante blu che ricorda il suo passato di funzionario dell’apparato del servizio di sicurezza KGB. Egli ha meno bisogno dell’uso della propaganda per il semplice fatto che in patria gli organi d’informazione sono ben controllati e censurati, al punto che chi tra i giornalisti usa il termine «guerra» invece che il più neutro «operazione militare speciale» rischia, secondo una recentissima legge, fino a 15 anni di carcere.

Se la propaganda bellica è quasi fisiologica nei due Paesi coinvolti nel conflitto, appare esagerato e poco onesto l’effetto che essa riesce ad avere su buona parte della nostra opinione pubblica, ormai assuefatta a immagini tragiche di bombardamenti che coinvolgono agglomerati urbani ed esseri umani, siano essi militari o civili, di entrambi gli schieramenti.

Restano comunque alcuni fotogrammi fissi nella nostra mente che simboleggiano questa guerra. Ed ecco la foto della donna in barella incinta e gravemente ferita a seguito del bombardamento dell’ospedale di Mariupol, che poi sapremo essere deceduta assieme al bambino che portava in grembo. Oppure l’altra, anch’essa incinta, fotografata in piedi e con una coperta sulle spalle, che è stata addirittura oggetto di una disputa sulla veridicità di tale immagine, solo perché assomigliava a una blogger abbastanza famosa fotografata in ben altre pose, come se quella persona non potesse realmente aspettare un bambino.

Altra immagine iconica è quella della bambina soldato col lecca lecca in bocca e il fucile in mano, i capelli legati da un vezzoso laccio col colore della bandiera ucraina. Fotografia dapprima presa a simbolo di una quotidianità bellica giunta al degrado dell’uso dei minori costretti alle armi per difendersi dal nemico alle porte, per poi scoprire che si trattava di uno scatto artefatto e che era stato il papà a fotografarla in quella discutibile posa dopo aver scaricato il fucile per renderlo inoffensivo. A tal proposito il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, che aveva pubblicato la foto per dimostrare la resistente fierezza del popolo ucraino, ha fatto mea culpa sull’uso spregiudicato di un’immagine fasulla e chiedendo scusa «…perché i bambini non devono essere esposti come trofei né vanno umiliati mettendo loro tra le mani un’arma.».

Rimarranno pure ben impressi nei nostri ricordi quei pochi secondi in cui la giornalista russa Marina Ovsyannikova è comparsa, alle spalle della collega che stava conducendo il telegiornale sul più importante canale televisivo russo, mostrando un cartello in cui chiedeva di fermare la guerra e spronava i cittadini a scendere in piazza per manifestare il loro dissenso. Poi arrestata e interrogata per 14 ore e senza la presenza di un legale è stata multata e ora dovrà attendere un processo per nulla semplice, dimostrando comunque una considerevole dose di coraggio e un alto livello di coscienza personale.

Da segnalare pure la foto pubblicata in piena prima pagina dal quotidiano La Stampa lo scorso 15 marzo. Si tratta di un fotogramma molto drammatico che evidenzia un uomo anziano che si copre il viso disperato con accanto a se una serie di cadaveri. 23 vittime di un missile Tocka-U caduto a Donetsk su un gruppo di persone in fila per la spesa alimentare. Quel genere di arma è in dotazione a entrambe le fazioni in lotta, ma quella regione del Donbass è sotto il controllo russo da anni e quindi la responsabilità dei militari ucraini è abbastanza chiara, però sul giornale non ne viene dato conto, magari anche in buona fede, ma il torto che si fa alla verità risulta evidente.

Per non smentire la frase di Marx che diceva che la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa, come non menzionare l’imbarazzo generato dalle immagini che ritraggono Matteo Salvini maltrattato dal sindaco (peraltro di destra n.d.r.) della città polacca di Przemysl, ove giungono buona parte dei profughi ucraini, che gli sventola in faccia la maglietta di Putin indossata in un recente passato fin troppo allegramente dal leader leghista.

Altrettanto paradossale è che questo uso disinvolto nei media di immagini usate al fine di alimentare un superficiale schieramento di campo tra le due fazioni del conflitto e una retorica bellicista tra invasore e resisitente, avvenga proprio nei giorni in cui a Londra, a Julian Assange, il fondatore australiano di WikiLeaks, è stato negato il permesso di appellarsi alla Corte Suprema del Regno Unito contro l’estradizione negli Stati Uniti, ove rischia una condanna a 175 anni di carcere per la pubblicazione di oltre 500.000 file militari segreti, ma ahimè tragicamente veri, relativi alle guerre in Iraq e Afghanistan, che dimostravano ineluttabilmente la gravissima attività di disinformazione e propaganda degli USA, pure su torture e crimini di guerra. Un prezioso e incompreso servizio fatto alla verità che ci indica la via che dovrebbe perseguire un’informazione attenta e sempre orientata all’insegna della correttezza, della consapevolezza e della responsabilità.

 

© 2022 Pierstefano  Durantini