Il Discernimento esiste ancora?

 

Roma, settembre 2022, un uomo si reca in chiesa, nella sua Parrocchia, la Sacra Famiglia al Portuense.

Sono 27 anni che vive in quel quartiere, conosce abbastanza bene quella chiesa e la comunità di fedeli che la circonda, eppure stavolta è emozionato e forse un po’ più nervoso del solito. È felice, ma è anche pienamente cosciente del fatto che potrebbe incontrare qualche difficoltà.

In quel luogo la sua unica figlia ha preso il sacramento della prima comunione e poi quello della confermazione. Ora è una donna di quasi 27 anni e da una decina di mesi è divenuta madre, mettendo al mondo una splendida bambina, che ora vorrebbe battezzare. Ha chiesto al suo papà di farle da padrino per il battesimo, perché sa che suo padre crede in Dio, è impegnato, l’ha cresciuta nella fede, insegnandole determinati valori, e nel rispetto delle persone, tutte. Per lei è forse una sorta di risarcimento nei confronti del genitore per certe disavventure che lei ha vissuto e le non poche preoccupazioni date a quel papà cui tanto è legata, ma con cui in passato ha pure avuto tanti contrasti.

Lui le ha già fatto comprendere di essere orgoglioso e felice per quella proposta, inoltre è legatissimo alla nipotina e sente quindi l’importanza e l’orgoglio per quel ruolo di accompagnamento nella fede e non solo. Però le ha già anticipato che non sarà semplice, perché una ventina di anni or sono lui si è separato dalla moglie, poi ha divorziato e 5 anni fa si è risposato civilmente con un’altra donna. Insomma è un divorziato risposato.

Appena entrato in parrocchia cerca l’ufficio del parroco, si siede e racconta a lui la sua storia. Spiega che la figlia, che vive in provincia di Roma, gli ha chiesto di far da padrino alla nipote. Il parroco tira fuori subito un foglio, una sorta di autodichiarazione da compilare con i propri dati e con alcuni punti da autocertificare: bisogna dichiarare di aver compiuto sedici anni, bisogna essere battezzati, aver fatto la comunione e la cresima, se sposati dichiarare di averlo fatto in chiesa e non aver procurato separazione.

Egli si ferma, non vuole dichiarare il falso, ci tiene e quindi desidera raccontare la sua storia familiare.

Dapprima rivela che ha già fatto il padrino 24 anni prima, insieme alla sua ex moglie, per il figlio di una coppia di loro cari amici. Spiega poi che una ventina di anni fa la moglie decise di interrompere la loro relazione, perché anche se si rendeva conto di volergli bene, sentiva di non amarlo più. Provarono per un paio d’anni a farsi aiutare, anche in un consultorio cattolico seguiti da una psicologa, ma per lei ormai l’amore era terminato e decisero di separarsi quando lui aveva solo 32 anni.

Egli, suo malgrado e con non poche difficoltà se ne fece una ragione, perché si convinse che in una coppia bisogna essere in due, uno solo non basta a tenere unita una famiglia. Rimasero comunque in buoni rapporti tra loro, anche perché avevano una figlia di cinque anni e decisero che lui sarebbe rimasto a casa con la bambina e che l’avrebbe cresciuta in buona parte da solo. Naturalmente la mamma non sparì, ma incontrava la propria figlia nei fine settimana, alternandoli col padre. Non era tutto, quella bambina non era la loro figlia biologica, ma una bimba che essi avevano preso in affido quando aveva solo 10 mesi e con una storia estremamente travagliata alle spalle. Infatti poi quella bambina fu adottata da entrambi anni dopo, nelle more della separazione e poco prima del divorzio, proprio perché la piccola aveva sviluppato un legame forte e duraturo con entrambi i genitori.

Egli spiega pure al parroco che in passato insieme con altri credenti separati costituì proprio in quella Parrocchia un gruppo religioso per separati e divorziati, di cui lui non sapeva nulla, perché all’epoca c’era un altro presbitero a guidare la Parrocchia. Un gruppo di ricerca spirituale e religiosa che durò per un paio d’anni e che talvolta rese testimonianza anche durante i corsi prematrimoniali per le giovani coppie che desideravano sposarsi, al fine di sensibilizzarle sul dramma della separazione per un credente.

Il parroco sentendo tutto ciò resta un po’ perplesso e titubante, esprime una certa difficoltà spiegando che lui non può dare il nulla osta per fare il padrino e allora chiama il suo vice, presente in quella chiesa praticamente da sempre. Infatti quando arriva saluta cordialmente e spiega al suo collega che conosce da tempo quella famiglia, non solo perché spesso si è recato a casa loro per la benedizione, ma dice pure che si rammenta della ex moglie, perché da ragazza cantava nel coro durante la messa e anche lei, come la figlia, fece li la sua prima comunione e la cresima. Allorché l’uomo, sperando erroneamente in una intesa, ricorda anche a lui che ha cresciuto la figlia in gran parte da solo e con non poche difficoltà, ma che ora è li perché lei gli ha chiesto di fare da padrino alla propria figlia. Imperterrito il vice parroco non lo fa nemmeno terminare e tranchant afferma: «…non è possibile, sei divorziato e riposato civilmente, del resto manco noi preti possiamo fare i padrini, ci sono delle regole…».

Chi scrive è il 54enne che si è recato in chiesa per chiedere, non supplicare, il nulla osta. Aderendo al gruppo di cattolici del dissenso Noi Siamo Chiesa, in pratica dalla fondazione, non sperava in un esito diverso, però ci sono alcune riflessioni interessanti da fare e si spera che questa storia possa stimolare un dibattito tra i lettori della nostra rivista.

Innanzitutto sarebbe auspicabile una maggiore empatia da parte dei rappresentanti della Chiesa verso un credente che si rivolge a loro, conscio di non essere perfettamente in regola, ma che vorrebbe e vuole assumersi coscienziosamente una responsabilità davanti al Signore. Invece anche stavolta egli ha avvertito un muro e una lontananza, una porta chiusa in faccia senza troppi preamboli. Infatti, se il parroco ha espresso un evidente imbarazzo nel negare il nulla osta dopo aver ascoltato una storia familiare di questo tipo (e alcune cose ancora più forti e fondamentali sono state tralasciate qui sull’articolo, ma non nel colloquio), l’altro presbitero è risultato così perentorio nella sua risposta, che è parso più come un arbitro di una competizione sportiva invece che un pastore di anime. Siamo alle solite, la Chiesa dovrebbe essere madre, ma troppo spesso appare come una matrigna.

È evidente uno scollamento tra le posizioni del Pontefice che quasi quotidianamente si spende per aperture su vari temi che toccano la coscienza umana e religiosa e una Chiesa apparato che invece fa fatica a seguirlo in questa ricerca e tanti troppi presbiteri che si limitano a osservare le regole senza assumersi alcuna responsabilità.

Allora sorge spontanea una domanda, che fine ha fatto il Discernimento? Esiste ancora? O è solo una chimera sorta a metà del secolo scorso e poi rilanciata dal pontificato di Giovanni XXIII, di cui si parla dal Concilio Vaticano II nel 1961? Eppure il Discernimento sarebbe quell’atteggiamento di accompagnamento a chi lo svolge e che consiste in un processo decisionale, individuale o comunitario, in cui si ricerca la volontà di Dio in una certa situazione storica, personale, sociale o comunitaria. Cercare nel proprio intimo tutte le imprescindibili informazioni per la necessaria decisione. Una decisione che va vissuta nella fede e attraverso l’opera dello Spirito Santo, che dovrebbe illuminare e sostenere ogni buon processo di Discernimento. Una sorta di grazia in cui c’è qualcuno che accompagna, aiuta e conforta nel processo decisionale, molto legato alla responsabilità morale personale, ma sempre di fronte a Dio e nell’intimo della propria coscienza, valutando tutti gli aspetti e le diverse possibilità nell’ascolto dell’azione dello Spirito.

Stavolta è avvenuto tutto ciò?

 

© 2022  Pierstefano  Durantini