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È sempre il tema della fede che viene affrontato in questo passo del Vangelo di Matteo e soprattutto l’intensità di essa. Quante difficoltà, quante avversità siamo disposti ad affrontare e superare grazie alla nostra fede in Dio? E tutto ciò anche quando la razionalità ci direbbe di arrenderci, ma noi continuiamo ad andare avanti.
L’episodio narrato da Matteo è a prima vista molto difficile da comprendere, perché ci presenta un Gesù che pare scostante e sordo alle preghiere di una donna disperata per la salute della figlia «…crudelmente tormentata da un demonio». Infatti egli dapprima non le rivolge nemmeno una parola ed ecco che subito risalta l’umiltà di questa donna che non essendo ebrea, ma cananea, quindi pagana e appartenente a un popolo considerato cattivo e dedito all’idolatria, continua a chiedere, a implorare l’aiuto del Figlio di Dio. Sono allora i discepoli a fargli notare la disperazione della donna, ma lui mette anche loro alla prova dicendo di «…esser stato inviato solo per le pecore perdute della casa d’Israele». Ma la donna non si ferma e continua a chiedere aiuto prostrandosi davanti a lui, del resto il dolore di una madre per la salute di sua figlia è profondo, le da la forza di continuare a chiedere anche di fronte alle chiusure che in quel momento Gesù pare metterle di fronte. Ma lei sta soffrendo per la salute di sua figlia e non esiste angoscia peggiore di quella di un genitore che vede soffrire un figlio, quindi con tutta la sua umiltà, ma anche con tutta l’intensità e la forza di una madre implora dicendo: «Signore, aiutami! ».
Ma Gesù continua ancora a metterla alla prova con una risposta dura e apparentemente incomprensibile dicendole: «…non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini», ma la cananea non si fa intimorire e addirittura risponde a Gesù intravedendo forse uno spiraglio, un flebile segnale di speranza nella frase di Cristo. Infatti lei gli risponde: «…è vero Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Ella ammette l’inferiorità, con umiltà sa di non appartenere al popolo eletto, ma ugualmente chiede il miracolo per sua figlia e allora Gesù riconoscendo la profonda fede di questa donna esaudisce la sua richiesta.
L’episodio ci fa comprendere che siamo tutti figli di Dio, non esiste un popolo eletto, tutti siamo amati allo stesso modo. Anche noi, quindi, dobbiamo avere un atteggiamento di apertura verso chiunque, credente o non credente, una disponibilità all’accoglienza senza riserve nei confronti degli altri fratelli, soprattutto gli ultimi, i più diseredati.
Ma soprattutto quel che colpisce è la figura di questa donna, una madre disperata, che insistentemente chiede aiuto a Gesù e continua a farlo senza fermarsi alla prime difficoltà. Bisogna apprezzare questa sua tenacia, ella arriva a rispondere a tono a Cristo e in questo dovremmo prenderla come esempio. Quante volte, infatti, ascoltiamo in chiesa alcuni preti, spesso più papisti del papa, che con le loro prediche non ci convincono o addirittura ci feriscono, ma noi che facciamo? Ascoltiamo senza reagire, in maniera acritica rimaniamo in silenzio quasi sempre, per rispetto o semplicemente per educazione, perché si è sempre fatto così. E invece sarebbe opportuno, magari al termine della funzione, andare da quel presbitero e fargli presente le nostre perplessità, egli, se minimamente intelligente e dotato di sensibilità, ci ringrazierà per avergli aperto gli occhi su una questione che non aveva considerato o semplicemente perché non credeva di poter ferire i sentimenti di chi lo stava ascoltando. È quel che è accaduto più di una volta a chi scrive.
Questo perché il rapporto tra i fedeli e il pastore deve essere biunivoco, altrimenti rischia la stanchezza, diviene stantio e si rischia così l’allontanamento. E invece la nostra fede è forte e viva quando non è muta.

© 2014 Pierstefano Durantini

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