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Il Documento di Economia e Finanza (DEF), in passato Documento di Programmazione Economica Finanziaria (DPEF), è un documento al cui interno vengono scritte le politiche economiche e finanziarie dello Stato. Il governo presenta il DEF entro il 10 aprile di ogni anno al Parlamento. Non è una legge, ma il DEF vincola politicamente il governo in merito alle linee guida di politica economica e finanziaria da perseguire secondo il bilancio pluriennale, delimitando l’ambito entro cui sarà compilato il bilancio annuale dopo il relativo dibattito parlamentare.
Ma tali linee guida su cosa si basano? Su stime, previsioni, che quindi risultano, col passar del tempo, molto spesso tutt’altro che attendibili. Ecco perché anche il DEF 2015 è caratterizzato da una profonda aleatorietà. Basti pensare che nei vari DEF approvati tra gli anni 2008 e 2014 in Italia fu prevista una crescita del PIL più alta di ben il 14,2% rispetto alla realtà. Questo perché i governi sono soliti guardare al breve periodo e un po’ troppo alle scadenze elettorali.
Anche il DEF presentato dal governo Renzi non è da meno e infatti pare strizzare un po’ troppo l’occhio alle prossime elezioni regionali di fine maggio. Come amava spesso ripetere quella vecchia volpe politica di Andreotti: «… a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca!», ecco che oltre il Premier toscano e il suo Ministro dell’Economia Padoan, in ben pochi sembrano confidare nelle rosee previsioni del DEF 2015. Infatti hanno espresso seri dubbi la Corte dei Conti, la Banca d’Italia e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Per tutti l’auspicata crescita si basa su previsioni ottimistiche che riguardano il deprezzamento dell’Euro sul Dollaro, un ulteriore calo del prezzo del petrolio (già a un livello molto basso) e una diminuzione dei tassi d’interesse (anche questi oggettivamente bassi) come conseguenza della recente manovra di politica monetaria eseguita dalla Banca Centrale Europea guidata da Draghi attraverso il Quantitative Easing, cioè l’acquisto da parte della Banca Centrale di titoli del debito pubblico emessi dai vari Stati aderenti all’Unione Europea. Ecco perché, quando è stato presentato il DEF 2015, il Premier è stato abile, pure grazie a tanti organi di stampa compiacenti, a spostare l’interesse e l’attenzione generale su un presunto bonus, il cosiddetto tesoretto, da 1,6 miliardi di Euro, magicamente comparso leggendo tra le righe delle 168 pagine del Documento di Economia e Finanza 2015 e dato in pasto all’opinione pubblica come una sorta di arma di distrazione di massa per distogliere l’attenzione dai veri problemi della nostra economia nazionale. La disoccupazione che continua a crescere a livelli vertiginosi, tra cui quella giovanile che ha raggiunto vette spaventose. Le clausole di salvaguardia date per superate e invece ancora da disinnescare, come l’aumento dell’IVA dal 2016 se non si riuscisse a raggiungere determinati risultati di bilancio. Il debito pubblico che continua a lievitare.
Inoltre a ben vedere questo fantomatico tesoretto altro non è che una spesa in deficit, basata su una previsione di crescita alzata dallo 0,6% allo 0,7%, che porta quindi il rapporto Deficit/PIL dal 2,5% al 2,6% confidando in un allentamento della stretta dei conti da parte dei rigidi guardiani dell’UE in favore di misure espansive. È infatti proprio questo 0,1% che rappresenta a grandi linee gli 1,6 miliardi di Euro di risorse aggiuntive che Renzi ha deciso di destinare altrove, invece di usarli per sanare i conti. Una specie di jolly da giocare a poche settimane dalle elezioni regionali, facendo intendere una non improbabile distribuzione a pioggia, magari estendendo gli 80 euro di bonus irpef anche agli incapienti, rafforzando così il welfare.
Invece, a guardar bene, le cose non appaiono così rosee osservando i dati reali che per quanto concerne l’occupazione, in base ai dati forniti dall’INPS, vedono solo 13 (tredici!?!) contratti di lavoro in più attivati nei primi due mesi dell’anno corrente rispetto allo stesso periodo 2014, sicuramente ben diversi da quelli forniti così maldestramente dal Ministro del Lavoro Poletti. Oppure i seri tagli strutturali di spesa pubblica che dovranno esser fatti tra sei mesi, quando si appronterà la prossima legge di stabilità, evitando così un altro incremento della pressione fiscale legato all’aumento dell’IVA, dovuto alle rigide clausole di salvaguardia. Senza dimenticare, last but not least, che la banca d’Italia ha appena segnalato l’ennesimo record storico del debito pubblico italiano, salito alla cifra incubo di 2.169,2 miliardi di euro, altro che tesoretto da spendere!
Forse sarebbe il caso, se il Presidente del Consiglio volesse davvero guidare un governo realmente illuminato e proiettato verso il medio lungo termine, di pensare di proporre agli altri Paesi aderenti all’UE l’introduzione di una tassa europea sulle transazioni finanziarie che, secondo uno studio dell’autorevole istituto di ricerca tedesco, il German Institute for Economic Research di Berlino, con un’aliquota dello 0,1% sulle azioni e dello 0,01% sui derivati potrebbe raccogliere tra i 3 e i 6 miliardi di Euro costituendo pure un bel deterrente alla tracotante e immorale speculazione finanziaria.
© 2015 Pierstefano Durantini

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